Welcome, to wherever you are

I racconti, i sogni, le speranze, i pensieri.. di tutto un po', per chi crede che Someday I'll be Saturday Night!

(For the English version click here)

Pranzo di Natale 2008

25.12.2008.
Orario di sveglia? 07.30 ovviamente. Perché? Perché ci si deve pre-pa-ra-re! Ma' e Pa' fanno colazione, Ma' si affaccia in camera mia: "Buon Natale. Come mai ti si già sveja?" "Buon Natale a te mammina, mi sforzo subito di rimettermi a dormire." "No no che gavemo da prepararse." Pa' ha già attaccato il cestino delle caramelle, Ma' lo individua e s'inventa una serie di improbabili commissioni che lo porteranno lontano da casa -e dal cibo- fino all'ora della partenza.
Fatta un'abbondante colazione -sia mai che a Natale capiti di mangiare poco- Ma' mi fa la piastra ai capelli, già molto meno convinta del nuovo taglio rispetto a qualche giorno fa. "Te ga fatto i auguri qualchedun?" "Sì, quasi tutti... ah, tanti auguri anche da Snorly e Pettie" "Chi, i fioi del Veccio?" "Sì esatto" "Queo brutto?" "Ma chi, Snorly?? Chi ha mai detto che è brutto?" "Ti ga dito che el xe piccoeo e nero!?" "E chi è, Calimero?! Non è altissimo e non è diafano, sì ok.. ma a te non piacciono, quelli dal fascino un po' terrone?" "No, a mi me piase i machi latini" "Tipo il papà?!" "HAHAHAHAHAHAHAHA ma come casso te vien in mente!!!! HAHAHAHAHAAHA!! Tipo Montalbano casomai!!" Già, che idiota, pensavo ti piacesse il papà guarda un po'.
Giro di chiave nella toppa. Suspence: avranno funzionato gli scongiuri? Si dà il caso infatti che Gogo non usi orologi, suonando la batteria, e perciò, quando la morosa Momo gliene regalò uno un anno fa, lo perse nel giro di pochi giorni; i nostri scongiuri miravano a che il regalo di quest'anno non fosse un nuovo orologio. Gogo avanza mogio mogio, testa bassa braccio alzato e orologio Morellato nuovo di zecca al polso. "Buon Natale. Stavo già per perderlo ieri, subito dopo che me l'ha dato. Poi però abbiamo trattato. Era partita da 5 anni, siamo arrivati ad un compromesso di 2 prima di perderlo." Quando si dice i compromessi d'amore. A quel punto ci avviamo, con Pa' tornato dai suoi giri, Gogo sempre di corsa, Ma' che risponde alle 20 chiamate di Ziona "Dove siete?"; a metà scale, Gogo si blocca: "Oh-oh." Tipica espressione da Oh cazzo mi sono dimenticato qualcosa "Mi fai uno squillo che non trovo il cell?" Il cellulare suona, ovviamente non in tasca di Gogo... noi ci avviamo, lui torna in casa a recuperarlo. Mi arriva un sms di Gogo: "Ciao, ho trovato uno squillo, chi sei?" I miracoli dell'Infinity sms.
Finalmente in macchina, ci avviamo per questi lidi sconosciuti -ben MEZZ'ORA di macchina, attenzione!!- con Ma' che vigila sulla condotta di guida di Gogo e Gogo che le bestemmia educatamente dietro. Giunti al ristorante, naturalmente per ultimi, ci si fa incontro la Holly che mugugna frasi incomprensibili: "hgrhgag bmfgtjgh" "Nonna, compra una vocale, cosa stai dicendo??" Ah sì, adesso ricordo: ha paura di prendere l'influenza perciò non apre la bocca finché sta fuori.. non potremmo pranzare all'aperto?? Infatti non appena mettiamo piede dentro, viene attivato il "play" della Holly, e chi la ferma più?! "Amore mio caradaddio come ti sta ahhhh bèèèn poooo'! Certo ti ghe gà dà na bea rinforsada a sti cavei!" Traduzione: non mi piace il nuovo taglio, guai a chi si taglia i capelli lunghi "Ah, ma per fortuna sto istà i te torna eonghi come prima!! E sta maja? No a xe un fià legereta? Ciò, el scuro xe de moda sto anno!" Traduzione: questa maglia non mi piace, coi colori scuri non stai bene e sembra troppo leggera per la stagione.
Nell'accomodarci al tavolo, Ma' fa da vigile urbano e distribuisce i posti a sedere in modo da arginare la Holly in mezzo ai nipoti così che non faccia commenti sulle figlie e i cognati, e la piazza accanto a Gogo, il quale è capitato giusto in mezzo alle gambe del tavolo. "Caroddadio, el me ben, come xea?" "Ciò ben nonna, se no gavesse a gamba dea toea in mezo i cojoni" "Ahhhh bèèèn pooo', varda ti!" "Me vorìa un tavoineto più piccoeo cussì ghe puso l'oseo" E non abbiamo ancora cominciato a bere!! "Aaaaahhh bèèèn pooo', senti che sboccato!" Quando parla in italiano so' cazzi, vuol dire che è in imbarazzo perciò cambierà argomento... 3 2 1... "Caradddadio, come sta i to dottori? Xeo serà el Studio?" Eccola, cominciamo con l'argomento jolly "Sì nonna, è chiuso, i dottori stanno bene." "Xei ndai a sciar?" "No nonna, sono a casa con le famiglie" "Gavè serà i balconi?" "Sì nonna, se no suona l'allarme" "Anca quei dala parte del ponte?" "Certo nonna, sono quelli dello studio del Doc" "Ecco apunto, xe quei che ghe sò più afesionada!! Ciò anca perché, in fin dei conti, Iu el ghe xe nato là!" Si riferisce al fatto che il Doc è nato e cresciuto nella casa adiacente lo Studio "Sì nonna" "Cossa vol staltri dò?? No i lo sa che esiste l'usucapione??" Ecco, perché paghiamo fior fior di avvocati quando abbiamo la Holly???? "Non staltri dò, nonna, è solo uno il rompimarones, il Vecchio è dalla nostra parte, ricordi?" "Che sarìa queo portà in dote?" Oh cazzo, adesso ricomincia con la genealogia dei figli segreti qualcuno mi aiuti... Flò raccoglie l'appello silenzioso: "Holly, mi dà due numeri da giocare al lotto??" "Aaaahhh bèèèèn poooo'.. pensa che l'altro giorno go perso tre ambi!" La vera notizia sarebbe vincerli!! Da decenni la Holly gioca gli stessi numeri, che naturalmente escono il giorno che non li gioca, e da anni le cronache registrano ambi e terni persi per un pelo, mai vinti. Per altri dieci minuti si ragiona su tutti i 90 numeri del lotto e che bello che era quando si giocava una volta sola a settimana, 47 morto porta vivo 90 fa paura.
In tutto ciò, procediamo ad ingurgitare quantità industriali di cibo natalizio, con la Holly che lacrima per il cren piccante ma nel frattempo vigila su quanto mangiano e bevono Brò e Flò. Jack ci narra le svariate avventure del Burger King, i controlli a tappeto sui panini e le patatine che-devono-croccare-undici-volte (hmmm, quasi quasi faccio domanda per fare l'ispettrice Burger King..), e annuncia la sua partenza, l'indomani, per le terme. "Aaaahhh bèèèèn poooo', cussì ti 'ndaressi a farte i massaggi!" "Sì nonna" "Ma par cossa, par dimagrir? Che me par che ti si già magretto che basta!" "No nonna, per rilassarmi" "Aaaahhhh bèèèèn poooo', par riassarte sì sì. Ecciò. No par dimagrir?" Entra in scena Gogo, elemento distraente: "Nonna, mi spieghi come fare il pollo al forno con le patate? Cioè, cucini tutto insieme?" "E perché? Ti te ga messo cusinar?" "Sì sai, ogni tanto da Momo mi diletto in cucina..." Pensa te se alla Holly adesso frega qualcosa della ricetta, let's go con le indagini sulla morosa "Aaaahhh bèèèèn poooo', ma ti cusini A TU PER TU con la ragazza?" E di nuovo parla in italiano... "No, da solo" "Ecciò carodddadddio, che ti sta ben libero a casa co to mama!!" Della ricetta manco l'ombra, ma viene in soccorso Zietta, che è quella delle ricette precise precise al milligrammo, non come Ma'... che l'unica volta che ha scritto la ricetta di un dolce, ha cominciato con "Ricetta per tot persone (perché dipende da quanta fame hanno)".
Finalmente siamo arrivati al dopocaffè, i nostri stomaci chiedono pietà, e Brò tira fuori l'etilometro tascabile... scatta la gara... a chi ha l'indice + alto, e Brò non riesce a farlo alzare!! E giù di grappe!! Viene a salutarci il cuoco, dall'aspetto rassicurante del Mago Oronzo e l'accento ruspante dell'hinterland veneto "Atù capìo, a l'è roba jenuina!!". Ore 16.30, ci alziamo da tavola mentre ancora sto tentando di spiegare alla Holly che no, il Doc e il Vecchio non sono fratelli e che probabilmente alla fine si scoprirà che l'ovulo era di Brooke. "Aaaah bèèèèèn poooo', se alsemo già? Gnanca el tempo de far do commenti??" Sì, sono solo 5 ore che mangiamo e parliamo... la Holly punta la stella di Natale sul tavolo, vorrebbe chiederla alla cameriera ma le figlie la trascinano via prima che possa farlo; non contenta, uscendo, le sfugge un "Graaazieee, e complimenti per queste stelle di Natale!" Inutile dirlo, il proprietario gliene regala una. Sia mai che alla Holly venga negata una soddisfazione. E così, ce ne usciamo, con la Holly che ricomincia a mugolare perché non può aprire la bocca, e con l'appuntamento per l'indomani, casa del Brò, pranzo di Santo Stefano...
(To be continued...)

Nuovi personaggi

Come un giorno ebbe modo di dire una persona di mia conoscenza, “Luna, la tua famiglia è interamente composta da macchiette”. Ebbene sì, è drammaticamente vero. E allora cerchiamo di sfruttare questa caratteristica a scopi di lucro. Ecco dunque descritti i personaggi –dai nomi fittizi, ma solo quelli- che popoleranno le mie variopinte storie, sperando che un giorno qualcuno li imiti a Zelig e me ne paghi i diritti:
Ma’: che dire? Mia mamma, grondante autostima e autorevolezza –non a caso soprannominata Fiorer, per assonanza col Fhurer- tiene le redini per quanto può di questa compagine, mediando tra tutti secondo le sue personalissime leggi.
Pa’: mio papà, alla mercé di Ma’, quando non scolpisce il legno e non intaglia ortaggi raccoglie firme. Oppure litiga con Ma’ per mangiare un altro cioccolatino/caramella/arachide o qualunque alimento nel raggio di 10 km.
Holly: mia nonna. Dopo aver praticamente assunto dimensioni leggendarie nei racconti orali, eccola comparire in quelli scritti. Capostipite, capobranco, capotutto, tutto osserva giudica e dirige secondo le sue personalissime leggi. Pur non essendogli riconosciuti titoli ufficiali, è esperta indiscussa di botanica, politica, diritto, economia, economia domestica, diplomazia internazionale e chi più ne ha più ne metta. Espressione tipica “Aaah bèn po’!”, che riassume tutti i concetti inesprimibili.
Gogo: mio fratello maggiore, batterista di professione. Lo si può osservare in transito per casa nei periodi migratori per ben dieci minuti alla settimana, nei quali riesce a mangiare/fare 5 telefonate/stampare 12 dispense/fare due docce/preparare la borsa. Inutile dire che è ritardatario cronico. E altrettanto inutile dire che dimentica SEMPRE qualcosa prima di uscire.
Zietta e Ziona: le due sorelle –minore e maggiore, guarda un po’- di Ma’, quindi mie zie. Entrambe molto calme e pacate, Zietta taciturna e riservata (Ma’ non approva), Ziona generosa e stakanovista.
Zio: marito della Zietta, è deciso e autoritario –Ma’ non approva…- e non te le manda a dire.
Jack: cugino, figlio di Zietta e Zio, omosessuale dichiarato –Holly non approva…-, non manca mai di narrare le sue epiche avventure al Burger King e le sue esotiche vacanze.
Brò: cugino, figlio di Ziona, nipote prediletto della Holly, cantante-sosia di Elvis, adora stare in compagnia di familiari e/o amici e adora mangiare.
Flò: sventurata morosa del Brò, ha osato rubarlo alle cure amorevoli della Holly (dopo solo trent’anni di vita, per altro) e nei suoi compiti rientra: cucinare per gli amici e i parenti, arginare i tentativi del Brò di riesumare i video di Elvis ad ogni occasione, uccidere ogni insetto molesto possa tormentare il Brò.

Esauriti i parenti, mi trovo costretta ad aggiungere anche la descrizione dei miei capi di lavoro. Si dà il caso infatti che io sia segretaria in uno studio dentistico, anzi nello Studio che da decenni cura i malanni di tutta la città, e che circa quarant’anni fa rifece un ponte alla nonna Holly. Da quel giorno –altro che Beautiful- mia nonna si appassionò alle vicende familiari dei componenti lo Studio; quando io, ignara, Eletta della famiglia, ebbi l’onore di entrare a far parte de Lo Studio, la Holly per poco non mi chiese le foto con autografi. E da quel giorno non ho più scampo: ogni volta che la Holly mi vede o sente, devo ripassare con lei tutta la genealogia de Lo Studio, ed aggiornarla sull’umore di ogni medico.
Il Vecchio, Il Doc e il Rompimarones: sono i tre soci attuali de Lo Studio, anche se presto si spera che uno –provate ad indovinare chi- si decida ad andare a rompere i marones in altri lidi. Il Doc è figlio del Professore, uno degli Antichi Padri Fondatori dello Studio, il Vecchio è nientepopodimeno che uno degli ex soci degli Antichi Padri Fondatori nonché cognato del Doc, il Rompimarones è anch’egli figlio di un altro APF, e cugino del Doc. Mia nonna li chiama Iu (Doc), Staltro (Vecchio) e Chealtro.
Snorly e Pettie: fratello e sorella, figli del Vecchio e nipoti del Doc, lui ha seguito le orme paterne e lavora con noi, lei non ci pensa minimamente e si occupa d’altro. Compaiono a random nelle indagini della Holly.
(To be continued…)

(Racconto) Vietato fumare

Tutte le volte che partivo o che tornavo, mi accoglieva la scritta “vietato fumare”. Era scritta a caratteri cubitali sugli edifici circostanti la stazione, e da allora era diventata il simbolo di ogni viaggio. Adesso che tornavo in quella che a suo tempo chiamavo casa, la scritta era scomparsa.. d’altra parte il divieto di fumare era diventato legge, non c’era più bisogno di scriverlo dovunque. La stazione però era la stessa, col suo grigiume, la sua puzza e tutte quelle facce che qui sono “così poco raccomandabili” e dove adesso era la mia casa sono solo facce, né più né meno. Rimettevo piede in Italia per un breve week-end, al limite della mia soglia di resistenza alle premure di mia madre, solo per un’occasione speciale: i diec’anni dal diploma, a vedere quanto si è invecchiati e che fine ha fatto Tizio che non sta più con Caia. I luoghi che conoscevo sono cambiati, ma non più di tanto. Le strade hanno ancora i buchi sull’asfalto, la gente e le case si stanno ancora chiedendo se siamo paese, periferia o provincia. L’aria sa di smog. L’appuntamento col passato però è “in città”, che è scomoda per tutti così almeno c’è la par condicio. Il buontempone della classe è quello che ha organizzato tutto, prenotando una pizzeria fronte laguna che almeno c’abbiamo il paesaggio a consolarci. La “città” sa di salso, di umido e di fogna.. solito insomma, ma di sera si sente più il salso e allora si sta meglio e pensi quasi di essere in vacanza. Ed eccoci qua, venti adulti che non sanno che farsene di questo incontro, se non sparlarne il giorno dopo con l’unico amico del cuore che è rimasto da quegli anni. C’è il copione, quello che non studiava mai ma bisognava passargli la versione ma-in-fondo-non-è-giusto-perché-è-lavoro-mio-e-tu-te-ne-approfitti, c’è la sicura di sé che maledetta-la-prof-d’inglese-m’ha-rovinato-le-superiori-ma-mi-sono-laureata-lo-stesso, c’è la fighetta che vivo-in-un-loft-con-vista-sul-London-Eye.. e grazie, basta che vivi a Londra e il London Eye lo vedi per forza, tanto grande che è. «Io invece vivo a Losanna in un attico con vista sul lago». È una battuta –per forza che vedi il lago, lo vedi da qualunque casa di Losanna- ma la capisce solo lui. E già. Per forza. Lui l’ha visto, “l’attico”. Lui doveva venirci a vivere con me, nell’attico. Non che dovesse, ma era nei progetti. Nei miei, quanto meno. Prima che nei suoi ci fosse la frase “se mi ami resta qua”. «Come stai?» E da dove comincio? Sto come sto. Come una che va in cerca di qualcosa che forse non esiste, che incolpa gli altri di una felicità che non sa trovare in quello che c’è già, e che è tanto. «Bene, e tu?» Stai come uno che negli occhi è pieno di malinconia e di rimpianto, fattelo dire. Ma sarà una mia impressione. «Non c’è male, sai com’è.. il solito insomma.» Già, il solito che una volta condividevamo giorno e notte e mi pareva così tanto. Il solito che poi è diventato solo il solito. È proprio vero che svanisce la magia. È un po’ ingrassato, incanutito, normalizzato. Non è più l’uomo che avrei voluto sposare, non mi ricordo cosa ci trovavo di speciale. Tranne l’amore che provava per me. «Il lavoro come va, ti trovi bene in Svizzera?» A parte i due mesi di solitudine passati a piangere, intendi? E il resto del tempo a leccarmi le ferite, e a scoprire di essere più forte da sola? E i patetici tentativi di risentirci ancora? Come se davvero potesse rimanere un’amicizia, dopo tutto? «Mi è dispiaciuto che non ti sei più fatta sentire» «Invece è stato meglio così» «Sì forse hai ragione tu» Mai una volta che tiri fuori le palle, neanche a distanza di anni, no? Non so cosa sto cercando, ma di certo niente che possa trovare qui, stasera. Non nei suoi occhi, non in venti facce che non hanno più nessun ruolo nella mia vita. E la pizza è meglio a Losanna, tra l’altro. Ci alziamo, facciamo un giro in riva, ci salutiamo. «Beh, allora stammi bene. Magari un giorno o l’altro ci sentiamo.» Come no. Contaci. Mi allontano, respiro forte l’aria di quella che era la mia casa e pensavo fosse tutto il mio mondo. C’è stato un momento in cui ho pensato di potermi fermare. Poi ho capito che forse era chi voleva amarmi che doveva seguirmi, o aspettarmi, come il compasso di John Donne. Per il ritorno salgo in aereo, così fuggo prima. Prendo posto, allaccio la cintura, guardo la laguna che si allontana, salgo sopra le nuvole e mi faccio accecare dal sole. Bip. Si è illuminato un segnale. È una sigaretta con una croce rossa sopra. Vietato fumare. Bentornata a casa.

(Racconto) Il profumo dei fondi di caffè

Bam bam bam. Una luce, poi niente. Immagini veloci scorrono come una pellicola, flash veloci che poi rallentano. Ecco, siamo io e Roby. Mi sono sbucciata un ginocchio, perché mi teneva in braccio in giardino e gli sono scivolata. Io ho paura del sangue, ma non piango perché sono arrabbiata con lui e non voglio dargliela vinta. «Tanto male?» «Sì!!» «Scusa, non volevo…» «Sei il solito deficiente. Io non ci gioco più con te.» E mi rannicchio su me stessa fingendo più male di quello che ho. Lui si alza e va in cucina, sta via un po’. Torna con due tazze di caffè, ma lo sa che la mamma non vuole che lo beviamo. «Ci ho messo quattro cucchiaini sul tuo, facciamo pace?» Non rispondo, prendo la tazza e mescolo lo zucchero. Lui fa lo scemo, fa i gargarismi e mi fa ridere. «Sei ancora arrabbiata?» «Adesso un po’ meno.» «E allora lo senti anche tu il profumo?» «Di cosa?» «Il profumo che si sente dopo che bevi il caffè e sei felice. Lo senti?» «È vero, sento un odore. Secondo me è il profumo dei fondi di caffè.» «Ah, io credevo che era la tazzina. Ma sei tu quella che sa ste robe, allora ti credo. È il profumo dei fondi di caffè.»Le immagini scorrono di nuovo, corrono veloci. Ecco, rallentano ancora. Io e Roby, ancora, ma più grandi. Sto piangendo perché mi sono appena mollata. «Shhhhhh dai non fare così shhhhhhh!!» Non ha mai sopportato le mie lacrime, gli faccio paura quando piango. «Ma non ne vale la pena scusa, era uno stronzo!! Se non vuoi farlo con lui mica può costringerti! E poi se è destino lo ritroverai, se no ne troverai cento di meglio, dai!! Shhhh non fare così, alzati da là e vieni con me.» Mi trascina per un braccio e mi porta in terrazza, dove stendiamo la biancheria. Da lì si vedono i tetti della città, è quasi il tramonto. «Ti pare che vale la pena di star là a piangere?? Guarda che spettacolo, guarda che colori hanno le nuvole! Per questo sì vale la pena piangere, ma di gioia!» Ho smesso di piangere, ma non me ne frega granché delle nuvole. «Grazie.» E sorrido. «Beh, è un inizio. Se ti togli quel muso da culo poi trovi pure Brad Pitt.» Io lo spingo per scherzo ridendo, mi mette una mano sulla spalla e mi porta giù.
Bam bam bam. Apro gli occhi, ma dove sono? Luce blu oddio non respiro aaahhhh aaahhhh calma calma è una mascherina è ossigeno. Inspiro forte, ma dove sono? Tubi di flebo attaccati, sono in ospedale? Perdo i sensi, chiudo gli occhi. Riecco le immagini scorrere, come fossi al cinema. Di nuovo io e Roby, di nuovo bambini, con le guancie gonfie. Siamo Bombolo e Bombola, dobbiamo sforzaarci di parlare così finché a uno dei due non viene da ridere. Lui farebbe di tutto per farmi ridere, e alla fine ci riesce. Ma non è contento perché ha vinto, è contento perché rido. E le immagini scorrono di nuovo, i ricordi si affollano e si confondono. Eccomi davanti alla porta di Roby. Dlin dlon. «Eeehhhiii mongoletta, che ci fai qua??» «Ciao.. beh… sono venuta a portarti l’invito, io e Manuel ci sposiamo.» «Ah. Ah, beh. Ma sei sicura? Vieni dentro dai, che ne parliamo.» «No mi aspetta in macchina, sono di corsa… Scusa.» Si rigira tra le mani l’invito. «E di che? Solo mi domando se mi chiederesti scusa, se fossi davvero felice. E se ti mancherebbe quella scintilla negli occhi. Ma se mi dici che sei felice ti credo, lo sai che mi fido di te.» «E io di te.» Ho un nodo in gola, non voglio che disapprovi. «Non abbandonarmi.» «Eeehhiii ma sei scema?? Ti pare che Bombolo abbandona Bombola??» E gonfia le guance come da piccoli. Io rido, e lui è più sollevato adesso che mi vede ridere come una volta. «Però se c’è qualche problema lo sai che sono qua, vero?» Lo stringo più forte, perché ho paura che ci allontaneremo comunque.
Luci bianche, voci distanti. «Dottore, la ragazza si sta svegliando.» Una luce mi punta un occhio, poi l‘altro. «Giovanna, mi sente?» Ho la bocca impastata, non riesco a rispondere. «Sedatela, è ancora debole». Ancora buio, e le immagini riprendono. Io e Roby camminiamo in spiaggia, ha piovuto. Lui solleva un po’ di sabbia bagnata con l’ombrello e mi sporca. Sto per arrabbiarmi, poi mi fa una mossa del wrestling e mi butta a terra, ridiamo e lottiamo. In bungalow la mamma si arrabbia davvero. «Ma dai mamma, è colpa mia che l’ho fatta un po’ inciampare!!» Rido di nuovo. Immagini che fuggono via, ancora una volta. Siamo in macchina, io piango e Roby guida. «Non voglio cominciare con il “te l’avevo detto”, quindi lasciami solo dire che è un figlio di puttana all’ennesima potenza. E smettila di tirar fuori quel cellulare che te lo spacco!!! Non ti chiama, e se lo fa rispondo io! Vuoi cominciare a capire quello che meriti per la persona stupenda che sei e per tutto quello che dai agli altri??» «Sì, cosa do oltre a rotture di coglioni? Evidentemente non ero abbastanza, per lui.» «E CERTO!! E se anche fosse, è giustificato a trovarsi un’amante? Ma stai scherzando?? Se non stessi guidando ti farei lo spaccaschiena come da piccoli, così almeno vediamo se ti si attiva qualche neurone!! E vuoi sapere cosa dai agli altri? Guarda qua cos’ho trovato tra le mie cose l’altro giorno, leggi qua le cose per le quali vale la pena piangere, va’!» Si tira fuori dalla tasca un foglietto a righe, è ingiallito dal tempo. In alto una data scritta dalla mano di un bambino. «Ehi, ma che cazzo pensa di fare quello?? OOH!»
Bam bam bam. Mi sveglio, sono intorpidita ma lucida. Un’infermiera mi sta cambiando la flebo. «Buongiorno Giovanna, come si sente?» «Confusa… debole» «Ha avuto un brutto incidente, è normale.»«Roby… Roberto, mio fratello, dov’è?? Come sta?»«Deve ringraziarlo, non fosse stato per i suoi riflessi… ha sterzato dalla sua parte, per evitare che lei rimanesse ferita. Le ha salvato la vita. È ricoverato in un altro reparto.»«Posso vederlo? Voglio vederlo.»«Magari domani, adesso è ancora debole.» E se ne va. Comincio a guardarmi intorno, metto a fuoco la stanza. Sul comodino c’è il mio telefono, e quel foglietto. Dovevo avercelo ancora in mano. Lo prendo e leggo le prime righe:
“10 marzo 1989. Cioè il giorno che compio otto anni.
Oggi scrivo le otto nove dieci cose più belle che ci sono, così quando lo leggo tra quattro-cinque anni vedo cosa mi piace ancora e cosa non mi piace più. Parto da quella meno bella fino a quella più bella.
10.Giocare con l’amiga a pang, perché a pang vinco sempre e anche a golden axe.
09.La ricreazione a scuola, che così posso correre e giocare e per un po’ non devo fare i compiti.
08.La tavola a Natale e a Capodanno quando siamo tutti insieme e ridiamo tanto e mangiamo quello che fa la zia e poi contiamo sessanta cinquantanove e così via, perché adesso posso che sono grande ma prima non potevo che ero piccolo e dormivo presto.
07.Il profumo della carta bruciata e del legno quando il papà fa la griglia e bisogna raccogliere gli aghi. Poi però il papà prende l’influenza e allora non è bello, ma prima sì.
06.Il profumo dell’erba quando piove anzi no, il profumo di tutto quando smette di piovere e tutti vanno in giro con la giacca della tuta e l’ombrello e poi viene fuori anche il larco baleno.
05.Quando con tutti quanti andiamo in spiaggia, perché in macchina cantiamo e ridiamo sempre e poi però mia sorella sta male e allora bisogna stare più zitti ma a me mi piace lo stesso.
04.Quando mia mamma mi abraccia forte che io non lo so che lei vuole abracciarmi, ma mi piace tanto tanto lo stesso anzi di più.”
Mi salgono un sorriso sulle labbra e le lacrime agli occhi, chiudo il foglietto e mi riprometto di leggerlo più tardi, insieme a Roby. Ha proprio ragione, ci sono cose per le quali vale la pena piangere. Finalmente mi portano da lui. I medici hanno facce serie e scontrose, non mi piacciono per niente. In corridoio mi fermano.
«Salve.»
«Salve.»
«Signorina, forse è meglio se aspetta un po’. Non è un bello spettacolo.»
«Non m’interessa, voglio andare da Roby. Come sta?»
«Beh, ecco… non bene, signorina.»
«Cosa vuol dire? Per quanto ne avrà?»
«Beh… ha subito dei traumi e delle lesioni al cranio che hanno generato un edema cerebrale… è in coma, signorina.»
«Coma? Ma ce la farà. Deve farcela.»
«Le speranze sono esili, a dire il vero. Mi dispiace, ma… beh ecco… se non darà segni di ripresa entro 6 ore, saremo costretti a dichiararne la morte cerebrale. Mi dispiace, signorina, davvero.» Silenzio.
«Signora.»
«Mi scusi?»
«Lei continua a chiamarmi “signorina”, ma io sono sposata. Signora.»
«Ah… mi perdoni. Davvero, è meglio vederlo in un altro momento, suo fratello.»
«No. Se quanto dice è vero, potrei non avere altri momenti.»
«Come vuole, signora. L’accompagno.»
La stanza è scura, Roby ha tubi ovunque. La testa è fasciata, così come le gambe. Mio Dio fratellino, cosa ti è successo? Mi avvicino, gli stringo la mano. «Ciao, sono io.» Bip bip bip. «Dai, adesso puoi smettere di far finta, hai vinto. Svegliati.» Bip bip bip. Sento un peso che sale dal fondo dello stomaco. Si chiama impotenza. Ho davanti a me l’unico uomo –ma forse l’unica persona- che non mi abbia mai tradita, e che mi ha dato tutto senza mai chiedere nulla in cambio. E non posso fare nulla per lui. E non riesco neanche a dirglielo, quant’è speciale. Quanto abbia cercato tutta la vita qualcuno che gli assomigliasse, qualcuno che vedesse in me tutto il bene che vede lui. Ho gli occhi fissi su quella benda intorno alla testa… quanto male??! Perché?? Proprio per salvare me, ancora una volta. Per salvarmi dalla mia vita e salvarmi la vita allo stesso tempo. Per farmi rendere conto di quante barriere abbia costruito negli anni. Barriere intorno a me stessa, per impedirmi di arrivare al centro di me e farmi male. Barriere contro gli altri, per impedire a loro di arrivare al centro di me e distruggermi. Barriere contro il mondo, per la paura di non so cosa, ma di qualcosa che può uccidermi se gli lascio lo spazio di avvicinarsi. Forse è la paura della felicità. Roby non ha mai avuto barriere. Ad ogni schiaffo ricevuto ha replicato con un sorriso. E ad ogni delusione ha risposto con la fiducia. Come con me. Sono stata una delusione vita natural durante. Eppure mi ha sempre fatto sentire la persona più importante al mondo. Cosa posso avere poi di tanto speciale. Nemmeno riesco a farti svegliare. E piango. Ah già, la lista. Tiro fuori il foglietto, glielo leggo e riporto alla mente i nostri ricordi. Niente. Bip bip bip. Manca meno di mezz’ora, sono già qui da cinque ore e mezza. Proseguo la lettura, mancano gli ultimi tre punti.
“03.Il tramonto quando ci sono tante tante nuvole in cielo, che si colorano tutte arancio e rosa e poi passano gli uccelli e ci volano in mezzo e soffia il vento leggiero che mi spettina tutto.
02.Il profumo dei fondi di caffè, perché vuol dire che stai proprio bene se lo senti, e che vuoi tanto ma tanto bene a quello (o quella) che è con te. Quando c’è mia sorella io lo sento sempre. Ma solo se bevo il caffè però.”
È vero. Questo non me lo ricordavo più. È tanto che non lo sento. Do un’occhiata al resto del foglio, e mi crolla tutto. Crolla il mondo come l’ho concepito finora, crolla l’idea che mi ero fatta di dover lottare per qualcosa al di là di ciò che c’è già. Mi guardo intorno e scopro un mondo nuovo, che è il mondo che c’era prima, solo che adesso lo vedo. E so che la vita è più forte di qualunque mio sforzo per rovinarmela. E capisco che davvero ci sono cose per le quali vale la pena piangere, ma molte di più per le quali vale la pena ridere. Ancora una volta Roby mi ha regalato la gioia, mi ha ridato la mia vita.
“01.Il sorriso di mia sorella, perché colora proprio tutto e sembra che c’è una luce che devi chiudere gli occhi anche se fuori piove. E poi lei sorride sempre anche quando le cose che dico sono stupide stupide, ma lei ride perché è gentile.Ecco. Queste sono le cose mie più belle. Un giorno liele dico anche a mia sorella, così lei mi dice le sue. Ma oggi no perché è arabbiata, e allora voglio farla ridere. Così poi è contenta.”
Bip bip bip. Non trattengo più le lacrime. Poi mi fermo. Rileggo la lista. Bip bip bip. Entra il medico. «Signora… dovrebbe uscire.»
«No.»
«La prego, signora, dobbiamo staccare le macchine.»
«Staccatele, io resto qui. E portatemi un caffè molto zuccherato.»
«Ma signora…» Il mio sguardo lo convince. Quando arriva l’infermiera col caffè, lo mescolo lentamente. Guardo Roby, non vedo altro. Bevo il caffè come da piccoli. Bip bip bip. Bip bip. Poi nulla. Il suo volto si addolcisce, sembra che stia facendo una linguaccia per farmi ridere. E allora rido, rido e rido, e tutti mi prendono per pazza ma io non li vedo e non li sento. Fuori dalle finestre c’è uno dei nostri tramonti, quelli con tante nuvole in cielo. E magari l’aria sa di erba bagnata, e di pioggia e di legna bruciata. Ma adesso sento solo un odore, e appoggio le mie labbra su quelle di Roby perché sono sicura che anche lui lo può sentire. È di nuovo quel profumo. Il profumo dei fondi di caffè.

(Racconto) Un rumore, uno solo

Un rumore, uno solo. Che potesse spazzare via l'aria cupa, riaccendere la notte di nuova vita, perché la notte crea fantasmi e paure. Anche da piccola ho sempre avuto paura del buio, pensò. È l'attesa di ciò che non vediamo ma che sappiamo c'è, a farci paura. O forse è paura di restare soli e doversi ascoltare. Brutta bestia, la solitudine. Ma bisogna accendere la luce, no? Ecco che tutto si risolve. Ma forse rischiara solo in parte, forse l’interruttore non so neanche dov'è. Ecco che ritorna la paura. Ma basterebbe un rumore, uno solo, per far capire che la vita fuori di te continua, per capire che non sei tu quella che gli altri stanno guardando O forse sì, se il rumore è il passo dell'uomo nero, se è lui che viene a prenderti. Merda, sto sclerando. Così non va, respira a fondo Meggie.
Inspira, espira.
Inspira, espira.
Il respiro affannoso non ti porta nulla di buono. È amico del silenzio, e il silenzio porta fantasmi e paure perché è compagno della notte. No, così non va. Sto sudando.
Inspira, espira.
Inspira, espira.
Neanche la luna ha il coraggio di uscire fuori, brutta codarda. E lo so io cosa vuol dire essere codardi. Dio se lo so. Perché, esiste un dio? Beh, vorrei tanto conoscerlo, se esiste, così gli faccio i miei complimenti. Mi ha fatta proprio bene. Famiglia ricca, vita felice. Poche ambizioni, troppe illusioni. E il sogno dell'amore. Perché non mi ha fatto lesbica? Magari era lo stesso, chi lo sa. O magari no. Di certo l'avrei scoperto troppo tardi. Un'occasione persa, una di più. Per tutta la vita, in ogni fottuta vicenda di quegli sporchi ventitré anni, non era mai arrivata al momento giusto, mai. Sono pure nata troppo presto, era destino. Destino. È lui al di là di ogni cosa, governa tutto e tutto decide, non parla mai e colpisce basso. Ma far guerra con lui è come perdere in partenza. E c'è di peggio che non puoi prendertela, non ti resta neanche questo. Perché mica è colpa di qualcuno. "Colpa del destino", un'alzata di spalle e il gioco è fatto. Ma non posso picchiare nessuno, e non posso appoggiarmi a qualcosa. Lui deve mantenere l'equilibrio, deve tenere in piedi questo mondo di merda. Per questo è abitudinario, ripete sempre la stessa storia. Peccato che in mezzo ci sia anch'io. Se solo ci fosse anche lui. Ecco, un record. Cinque minuti senza che venisse fuori lui.
Inspira, espira.
Inspira, espira.
Lui non c'è e non ci sarà. Fanne a meno. Ma del dolore no, non se ne può fare a meno. E parte da dentro, parte da lì. Allora niente più false lacrime, niente più ricordi leggeri. Le lacrime sono quanto mai vere, i ricordi troppo pesanti. Lacrime che diventano urla, ricordi che sono mattoni. E di mattoni è fatto il tuo muro. Ma ovunque attorno a te c'è il suo odore, il suo volto, il suo sorriso. Tutto ciò che non è più. E se abbracci la sua ombra, ciò che afferri è solo te stessa. Ma se tu non sai stare in piedi, poi finisce che precipiti e non impari mai a volare. E cade tutto con te. Lui non c'è, impara a farne a meno. Quante volte l'ho ripetuto, in sei mesi? E l'avessi mai capito. L'avessi mai imparato. Se solo.. se solo cosa?? Se solo fossi diversa, ma non si può. Non me ne posso fregare. Come fosse stato niente. È stato tutto, ecco che c'è. C'è che non arrivo mai al momento giusto. Ad arrivar prima, l'avrei preso in tempo. Ad arrivar dopo magari neanche mi guardava. Perché già stava con lei. "Già"? "Ancora" dovrei dire. "Lei"? "Puttana" forse sarebbe più adatto. O mio Dio. Calmati.
Inspira, espira.
Inspira, espira.
Forse ero io troppo debole, forse lui troppo insicuro. Non so, non lo posso sapere. Stargli accanto quei mesi, senza sapere se per lui è lo stesso, se è così che batte il suo cuore. Questo non lo so chi lo sopporta. E dover credere alle sue parole, ma la luce nei suoi occhi ha un colore diverso. Allora la coscienza, quella è meglio che stia zitta. Sennò te lo dice, che lui non lo pensa davvero.Devastante. È così tremendamente devastante. Arrivare di colpo nella sua vita, quando si stavano mollando. Pessima scelta, momento sbagliato. E innamorarsene quando lui pensava all'altra. Pessima scelta. Aspettare il tempo che ci sarebbe voluto, lasciargli il tempo di riprendersi. E innamorarsene di più. Oddio perché. Perché.
Inspira, espira.
Inspira, espira.
Baciarlo, poi. E quel che è peggio, credere che questa fosse la soluzione. Pensare soluzione ciò che soluzione non è. Pensare che un abbraccio, un abbraccio forte possa rassicurare lui e pure te. Ma il suo abbraccio è timido, la sua stretta poco convinta. E tu fai finta di niente. E passare il tempo a sperare che chiami, a guardare la tv perché se ci sono interferenze magari è il cellulare che sta per suonare.Che scema, erano solo interferenze. Il cellulare è muto, e il silenzio fa compagnia alla notte. E così ti crei fantasmi e paure, ma chi te lo impedisce? Chissà a chi sta pensando. Magari pensa a lei, e magari lei pensa a lui. E io qui ad aspettare le interferenze. Forse non mi ama più, forse pensa di tornare da lei. E io di chiederglielo non ho il coraggio. Perché se accendo la luce e c'è l'uomo nero per davvero, allora so che è finita. Meglio l'incertezza, tanto alla fine preferirà me. Come no. Puttana. Che puttana. Me l'ha portato via, e lui s'è fatto portare via.
Inspira, espira.
Inspira, espira.
Io ce l'avrei fatta. L'avrei convinto che ero quella giusta. Se solo non fosse tornata lei. Certo, che ci vuoi fare? Dopo due anni che erano stati insieme, sei mesi con me li butti nel cesso. E così la mia vita. Oggi sarebbe un anno. Proprio oggi, proprio qui. Ma lui non c'è, devo farne a meno. E il dolore e il silenzio mi stringono l'anima, Dio mio quanto fa male. È sparito nel nulla, giusto il tempo di dirmi che tornava da lei. Brutto codardo. Stronzo quanto vuoi, ma odiarlo non posso. Perché è il destino che l'ha guidato, lui mi amava. Lui mi amava. E adesso non c'è. Devo farne a meno. Ma come si fa? Come?
Inspira, espira.
Inspira, espira.
Un motivo c'è, per tutto questo. Certo. Peccato che nessuno sappia qual è. Ah, ma io mica aspetto che me lo dicano. La soluzione ce l'ho, perché lui qui non c'è. La notte dura troppo. Devo solo calmarmi.
Inspira, espira.
Inspira, espira.
E chiudere gli occhi. E sapere che va bene. Sapere che valgo. Me lo diceva anche lui. Ma lui non c'eri, e ne devo fare a meno. Addio anima mia. Io lo amavo. Lo amo ancora. Ti amo Jack, mi puoi sentire? Mi puoi sentire amore mio? Oddio. Dio mio.
Bang.
Un rumore, uno solo, squarciò la notte, spazzò via l'aria cupa, risvegliò la natura. Un rumore, uno solo. E come un richiamo, lui arriva neanche l'avesse sentito. Lui che arriva, lui che vede, lui non sa.Perché se addio doveva essere, addio sarebbe stato, ma come lui voleva. Perché tumore non si può dire, tumore fa paura, tumore fa soffrire. E lei così vicina, lei che già l'aveva guarito, da un amore trascinato troppo a lungo. Capitare nella sua vita, quando era così fragile e così delicata. Pessima scelta, momento sbagliato. E sparire nel nulla, quando lei era innamorata più che mai. Pessima scelta, ancora di più se si può. Ma il destino aveva deciso, solo suo era il potere. Non c'era stata altra scelta, nient'altro da fare. E come imporle anche quello? Come, dopo averle imposto di essergli vicino, di saper sopportare ciò che chiunque altro non avrebbe sopportato, di guarire col suo sorriso la disillusione di un amore finito? Quel sorriso che lo tormentava, quel volto che ritornava ovunque, nei luoghi, nelle strade, negli odori e nei volti di quel loro amore, così breve e così intenso. Sarebbe durato, sarebbe bastato un attimo in più per abbracciare l'eternità. Ma se il dolore non lascia scampo, meno ancora ne lascia la malattia. E quel male così grande e così invisibile aveva preso possesso di lui, e la vita cambiava. Cambiavano i suoi occhi, quando diceva Ti amo, perché se può essere l’ultima volta, il fiato per dirlo quasi ti manca. E manca il coraggio di dirle perché, perché quel tono, perché quella luce. E se non lo dici, il silenzio ti crea fantasmi e paure. Paura di non poterla più vedere, paura di farle del male, paura di toglierle il sorriso, ma il suo sorriso è tutto ciò che ti resta. E la paura porta a scelte estreme. Perché lei dovrà odiare. Ma piuttosto che odi il destino -perché contro di lui è partita persa-, allora meglio che odi te. Meglio che ti chiami bastardo, meglio che abbia una foto da strappare, un dolore da urlare, un nome da dare a quel dolore. Perché forse, se glielo dai tu, quel dolore può passare. Forse. Meglio dirle che torni al passato, che torni dall'altra, e che non è colpa di nessuno. Aggiungi anche questo, poi sparisci. A chi sia costato di più, tu dirlo non sai. Ma sai che a te è costato. Ed è costata quella stanza d'ospedale, quel muro bianco e freddo in cui i suoi occhi si riflettevano ancora, e il suo volto nei tuoi sogni. Non sai come, pensando a lei hai lottato, pensando a lei che potesse essere felice. E invece sei guarito. Non importa come, adesso ne sei fuori. Regredito. Il tumore è regredito. E se lui se ne va, tu torni. Ma non da lei, bastardo così non puoi esserlo sul serio. Torni a vedere un luogo in più che ti parli di voi. Il fienile abbandonato. Un anno fa un nuovo sentimento, un anno fa una nuova emozione. Il ricordo di lei è ormai dovunque.Ecco lui che giunge, ecco lui che entra, ecco lui che vede. E la luce del giorno porta luce in lui. Ecco lui che comprende. Ecco che sa cosa ha fatto, ecco che sente a che punto è arrivato. Ed è proprio lei, lì, che sorride nella morte al destino beffardo. Perché ancora una volta ha scelto il momento sbagliato. Lui è lì, non deve più farne a meno. Troppo tardi lui è lì, troppo tardi capisce. Ma il giorno che viene porta luce nuova, spazza via l'aria cupa e accende nuovi colori. E chiara come la luce, la scelta è una sola.
Bang.
Un rumore, uno solo, aveva dato l'addio alla notte, e un rumore, uno solo, saluta il giorno, accoglie la luce e spazza via le tenebre. Ecco che allora il cuore di Jack batte dello stesso battito di quello di Meggie. Finalmente due cuori, ma un solo battito, un solo rumore. Un rumore, uno solo.Un rumore, uno solo.