Welcome, to wherever you are

I racconti, i sogni, le speranze, i pensieri.. di tutto un po', per chi crede che Someday I'll be Saturday Night!

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DdV 8 - Cascando

Ero molto curiosa di viaggiare finalmente in un famosissimo pullmann Greyhound. Salvo scoprire che è nient'altro che un pullmann, solo che c'è disegnato un segugio grigio. La stazione dei pullmann è triste e grigia come nei film, il bigliettaio ci mette il suo tempo per capire la pronuncia italiana... sì perché "niagara" in italiano non suona come "naiègra" in inglese, no, meglio tenerlo a mente. La gente è già in fila alla corsia, e le allegre coppie con infante al seguito stanno già saltando la fila, al solito. Ci si divide: i bravi clienti diretti a NYC salgono su un pullmann enorme, noi si sale su un pullmann più piccolo perché siamo solo i poretti diretti alle cascate.

DdV 7 - Sightseeing Toronto

La fase iniziale di un trasferimento all'estero, come mi insegna Hofstede, è la fase del turista. Bene, quindi vediamo di godercela in pieno. Ho già assaporato gli odori e la confusione di Chinatown, alla quale si accede attraverso una porta col dragone; ho già visto l'aquapark in lontananza, all'Ontario Place, e la casa medievale nei pressi del porto, dedicata ai tornei in costume e alle cene medievali. Ma adesso è tempo di fare sul serio, e acquistare il Toronto Pass: ho nove giorni di tempo per visitare le cinque attrazioni principali della città, pronti partenza via.

DdV 6 - Primi giorni in Canada (no Mac, no party)

Parto da Philadelphia guardando incuriosita il lustrascarpe in aeroporto, e spiando che diavolo starà facendo di tanto importante il mio vicino, incollato al blackberry. L'arrivo a Toronto è molto rincuorante: in meno di mezz'ora sono già in taxi, col visto in tasca... altro che States! Noto subito il verde che abbonda, le strade residenziali che sfociano nelle grandi arterie commerciali, e so che difficilmente sbaglierò nel rientrare a casa: il cartello "REMOVE YOUR SHOES" è visibile da chilometri di distanza. Apprendo subito le numerose regole di MM, la mia padrona di casa: via le scarpe, chiudere a chiave la porta quando si esce, cena alle 18.30 con cibi di tutti i colori, niente asciugamani sul letto e niente elettricità prima delle 9 della sera! Gulp. L'accompagno a fare la spesa, e noto l'ironia canadese -un po' british- sui finestrini del bus: "Spostarsi verso il retro dell'autobus, grazie" recita il primo, e il secondo "beh, magari UN PO' PIU' indietro, GRAZIE!". Scopro inoltre che non esistono i pulsanti, per prenotare la fermata: bisogna tirare un cordino di gomma che sembra un filo elettrico, e corre lungo tutte le pareti del bus. In autobus e al supermercato non sento parlare inglese, tranne che da MM: sento russo, francese, italiano (dialetti più che altro), portoghese, spagnolo... salvo poi passare all'inglese per rivolgersi agli sconosciuti. E' un primo assaggio del melting pot che il Canada è riuscito a creare nel tempo.
Al terzo giorno in Canada, nemmeno il tempo di abituarmi alla quantità di aglio e paprika nelle pietanze di MM, il mio Mac si arrende al cambio di voltaggio e muore. Lo porto al Maccospedale, ovvero l'Apple Store, dove i commessi comunicano tra loro attraverso i Macbook, e la cassa si apre con un Iphone. Mackie viene ricoverato, e io mi ritrovo completamente spiazzata. Non potendo comunicare attraverso il computer, mi piomba addosso tutto lo shock che non ho vissuto finora, il distacco da casa e dai miei cari. Allo stesso tempo però, mi sento in sintonia con Toronto, sento ancora che niente può andare storto e che tutto accade per una ragione. Comincio il mio pellegrinaggio alla ricerca di un lavoro, dalla Dante Alighieri (spiacenti, ma sa...), alla gelateria Novecento in Corso Italia, agli annunci online per lezioni d'italiano, a chi più ne ha più ne metta. Le istituzioni italiane sono a dir poco disinteressate al destino dei connazionali in vacanza-lavoro, e sì che invece dovrebbero essere loro a promuoverci! Mah. La sera mi consolo con una passeggiata sul lungolago. In autobus c'è un gruppo di ragazzacci, che qui vuol dire "ragazzi che mettono i piedi sopra i sedili dell'autobus" salvo poi spostarsi, scusandosi, quando accenno a volermi sedere... proprio dei teppisti!!! Tra l'altro, sono in sei e di sei razze diverse: asiatici, est-europei, nordafricani, sudamericani, afroamericani... di nuovo, il melting pot made in Canada. Lo spettacolo del lago di sera è incredibile: l'aria fresca, la temperatura ideale, i parchi e la CN Tower sullo sfondo. Oltre a me ci sono ragazze che fanno jogging, persone che passeggiano, il tutto ai margini di quelle che non sono strade, ma autostrade coi marciapiedi ai lati.
Ho sempre amato le città sul lago, e Toronto non fa eccezione. Qui ci si sente al sicuro, non ci si può perdere (perché se non altro, la CN Tower fa da punto di riferimento) e la rete di trasporti è talmente efficiente, puntuale e sicura da sbalordirsi a sentire chi si lamenta -come MM, per dirne una- di dover aspettare 5 minuti per un autobus! Mi appresto a fare amicizia con questa città, e mi preparo ad esplorarla in lungo e in largo.

DdV 5 - Us(A)cendo

Come di consueto, terminata una tappa del viaggio mi fermo un attimo, prendo in mano il mio quaderno delle "cose da fare e vedere prima di morire" e cancello le voci adeguate: New York+Stephen King; New Jersey+Perth Amboy; BJ al Giants Stadium. Solo tre?! Ne restano un sacco. Impressioni sugli States? Contraddittorie. Ho visto la terra degli stereotipi della tv: i taxi gialli, i MacDonald's, la tv splatter e gossip, i grattacieli, l'aria condizionata fortissima, le maxi porzioni di tutto, le casette col patio e la bandiera americana in giardino. Ho trovato delle peculiarità, per non dire delle stranezze: gente arrestata per strada perché beveva alcol in pubblico, divieto di fumo a 20 piedi dall'entrata degli edifici, i predicatori ad ogni angolo di strada e nelle metropolitane.
Ho trovato una popolazione variegata, e nell'insieme cordiale ed aperta, che mi ha insignito della cittadinanza ad honorem del Garden State (il New Jersey), per voce di un suo tassista, che mi ha ceduto il passo praticamente ovunque, in metro come in aereo.
Ho trovato però una nazione anche molto spaventata, in cui la perseveranza nell'assimilazione ormai fa acqua da tutte le parti. La convinzione che lo straniero debba essere grato dell'accoglienza e perciò rinnegare le sue origini e diventare profondamente americano, non sta più né in cielo né in terra. E di questo gli americani si sono resi conto, anche se resiste lo stupore di chi non si spiega l'odio e gli attentati, perpetrati da abitanti di questo paese, ma le cui origini destano oggi paura e sospetto. E saltano fuori tentativi maldestri di riconciliazione tra le culture, come il progetto ormai definitivo di una moschea nei pressi di Ground Zero: le polemiche infuriano, e non c'è modo di sapere se la politica sa che direzione prendere o si limita a dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte, un monumento agli americani e un luogo di culto ai musulmani -che sempre americani sono. E' tempo di passare il confine, per scoprire se la cultura canadese differisce dai vicini.
Ma all in all, God bless America... qualunque sia il God.

DdV 4 - Come un bruco

Come da copione, anche a New York fa un caldo bestia. Certo che anch'io, son peggio dei giapponesi: New York in due giorni scarsi, come si fa?! Il primo impatto con i treni newyorkesi mi fa entrare già in un'atmosfera anni '60: interni in legno, controllore col cappellino con la visiera, sedili con lo schienale spostabile (per sedersi nel verso di marcia!). Come esco dalla Penn Station, mi sembra di essere entrata nel bel mezzo di un mucchio di stereotipi: grattacieli, traffico impazzito ma solo perché ci sono migliaia di taxi gialli, alle mie spalle il Madison Square Garden di tanti concerti famosi (Bon Jovi, per dirne uno...). Procedo nel caldo atroce, vedo Macy's, l'Empire State Building del quale ignoro volentieri l'ora e mezza di coda per salire in cima, la Grand Central Station che fa concorrenza a certi scenari da Harry Potter. Contrariamente a quanto si dice, la metropolitana non è complicata -anche se, in effetti, New York la si può girare tranquillamente a piedi-, ed accettano perfino il bancomat italiano, per i biglietti... wonderful! Il mio giro prevede un'ampia deviazione per andare a vedere un grattacielo ignoto ai più, ma che per chi ha letto La Torre Nera di Stephen King, è immancabile: al numero 2 di Hammarskjold Plaza sorge la Torre Nera del nostro mondo, aye Roland.
Superata questa pietra miliare, mi rituffo in un altro stereotipo: hotdog dal chiosco per strada, e che strada! La quinta, o meglio la celeberrima 5th avenue. Un'attività da prendere in considerazione, quella del chioschetto a Manhattan, un po' come il bar sulla spiaggia tropicale. Il mio giro prosegue al Rockfeller Centre -quello della pista di pattinaggio- e al vicino Starbucks, per rifocillarmi nella calura della City. Arrivo così alla ben nota Times Square, e mi chiedo se sono gli americani a copiare Piccadilly Circus o viceversa. Dopo un giro dovuto al negozio di giocattoli -dove c'è pure la ruota panoramica... e anche qua, chi ha copiato chi? Hamleys o ToysRus?- mi rilasso nella zona ristoro -praticamente, una serie di tavoli e sedie in mezzo a Times Square. Vicino a me si siede un'anziana giapponese che lavora a maglia, poi si avvicina un ragazzo per appoggiare il pacchetto di MacDonald's più unto che abbia mai visto e mangiare al volo il suo BigMac. Concludo il primo giorno a Central Park, giusto uno sguardo e poi via, a meritato riposo. Tutto sommato, ho sfatato molti dei miei pregiudizi sulla City: si respira una bella aria, di vita, di entusiasmo, non -come credevo- di frenesia e fretta.
Il secondo giorno lo dedico alla Lower Manhattan, ed ingenuamente compro il biglietto per la statua della Libertà: la fila per salire sul traghetto comincia praticamente a Brooklyn, ma è allietata dalle esibizioni di svariati artisti di strada. Per fortuna il caldo è mitigato dall'aria, ciò nonostante le mie spalle si colorano di una varietà amaranto-aragosta per niente tranquillizzante. I controlli prima di imbarcarsi sono come quelli dell'aeroporto, col metal detector... e naturalmente, chi si ferma e lo fa suonare quattro volte?! Italiani. Dal traghetto ammiro lo skyline di New York, e già da qui s'intuisce la voragine lasciata dalle Torri Gemelle. Arriviamo a Liberty Island, dove scopro che la statua non è così piccola come la descrivono, anzi! Sarà che il piedistallo è altissimo, ma l'insieme è imponente a dir poco. Proseguo per Ellis Island, dove mi abbiocco e mi risveglio a tratti mentre la voce di Gene Hackman racconta della superba magnanimità di questo paese che ha accolto milioni di poveri sporchi malati puzzolenti immigrati, viva l'America! E non si può descrivere lo sguardo schifato con cui la guida pronuncia "Italians" alla domanda su quale popolazione avesse portato il maggior numero d'immigrati a New York.
Al ritorno, scoppia un simpatico acquazzone estivo che mi fa rimpiangere l'ombrello, al sicuro dentro la valigia. Trovato riparo da Starbucks, mi dirigo poi a Wall Street, che non è altro che una strada molto affollata in fin dei conti, e verso Ground Zero. Ho fortemente voluto e molto temuto l'impatto con questo luogo, perché il mio 11 settembre è stata la data spartiacque tra l'ingenuità e l'innocenza dei miei 17 anni e il brusco risveglio a scoprire che no, l'America non era perfetta, il sogno americano era una bufala, c'era chi odiava l'America e chi l'America odiava a sua volta. E' stato il momento in cui tutti abbiamo perso la tranquillità, lo sguardo neutrale su chiunque avesse una barba e un turbante, la serenità di uscire soli di notte, il relax di viaggiare senza chiedersi cosa avessero tutti negli zaini. Questi giorni negli USA, curiosamente, mi hanno restituito un po' di quella leggerezza: quella tranquillità del "comunque vada sarà un successo", quell'apertura mentale che mi ha fatto sedere su un guard-rail nel mezzo del nulla, in piena notte, a chiaccherare con sconosciuti, senza paura. Ground Zero toglie il respiro. E' proprio così, guardi tutt'intorno poi improvvisamente ti viene da stare in apnea. Un vuoto che non si spiega, perché se vado a vedere le immagini di 9 anni fa, e le confronto con ciò che vedo ora, non mi spiego come siano rimasti in piedi tutti gli altri edifici. Le teorie complottiste acquistano sempre maggiore fascino. Ci sono due gru, non si sa a costruire cosa, non è chiaro e lo si scoprirà solo il giorno del decimo anniversario. Ma dalle gru penzolano due bandiere americane listate a lutto, ad eterna memoria... come se non bastasse il vuoto, a toglierti il fiato.