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I racconti, i sogni, le speranze, i pensieri.. di tutto un po', per chi crede che Someday I'll be Saturday Night!

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Breathtaking


London – Sevenoaks, 5-8/12/2009
Uno dice: come faccio a riconoscere gli italiani in aeroporto? Facile. A parte che urlano, dico. Hanno le Roncato intonse, mai usate, sfoggiate con orgoglio per il primo viaggio oltre confine. E i russi? Facilissimo. Segui il segnale audio dei metal detector. E le facce stupite di chi scopre che NO, non è propriamente consentito, imbarcare una forma di Parmigiano Reggiano intera. E gli americani? Beh, sono quelli impassibili e grati allo steward, quando gli si dice che avranno una stanza d'albergo per la notte, visto che il volo per New York partirà domani alle 6 del mattino, invece che l'altroieri alle 15. E le italo-inglesi? Sono quelle che in una telefonata passano con non-chalance dall'italiano al british english curandosi di essere ascoltate da almeno altri 20 passeggeri estasiati dalle loro strabilianti capacità di code-switching. E io? Io sono quella che, dopo aver ingurgitato una brioche di dimensioni improponibili, cerca di capire quante tasche nascoste ha questo nuovo giubbotto, contorcendosi con molta chalance sul suo posto di 2 cm quadrati. E i capitani inglesi? Sono quelli che col loro british english ti avvisano, come fosse la cosa più naturale del mondo, che a Gatwick si sono perse le scale per farci scendere, quindi restiamo chiusi in aereo. E con altrettanta naturalezza annunciano poi “Ladies and Gentlemen, alleluja! We've got the stairs!”
All'arrivo vengo accolta dall'italianissima Lena e dal suo britishissimo marito Jay, che mi portano a mangiare all'indiano, dove c'abbuffiamo -strano!!- e poi ci puliamo le mani con le salviette calde... quanto sono inglesi. E si parla dell'aberrante piatto tipico inglese, il fish and chips, ma come mi dice Jay, “l'hanno inventato i vittoriani.. sai, noi diamo la colpa di tutto ai vittoriani!” A casa ci attende Tosca, la gatta impertinente che più che attenderci è fuori in giardino, a “cacciare le rane”, come m'informa Lena. La casa è tipica inglese, col suo caminetto, la moquette, l'orticello... e la scala ripida e buia che sembra presa pari pari da Psycho. I gusti televisivi sono però molto italiani: si guarda X Factor, manco a dirsi, e si litiga sui cantanti in gara.
Il giorno successivo comincia con una corroborante camminata nel parco del Kent di Sevenoaks, ricoperto di fango. Una dolce coppietta ride, scivolando su e giù: Lena è categorica “Daje du mesi, e vedi te... lui je dirà “ma cche sei defisciente, nun riesci manco a sta' in piedi??!”” Il castello sovrastante il parco, scopro, è abitato. T'immagini, pensiamo con Lena? Vieni a prendere il the da me? Sì, dove abiti? Presente il castello in cima al parco?!
Tornate a casa, lavoriamo sulla tesi, con Lena che chiede aiuto informatico al paziente marito: “JJJJJAAAAAAYYYYYY!!!!!!” “Yes, Leeenaaa?!” E via così. Viva l'intercultura. Jay è tutto un SORRY e PLEASE, quanto è british. E quanto è british la carne con marmellata di mirtilli, ma devo dire che anche l'intercultura alimentare è da tenere in buona considerazione. Finalmente provo anche le famose mince pies, le tortine di Natale... sì, viva l'intercultura alimentare!! Ma continuo a rifiutare l'intercultura televisiva: una serata di programmi crime-splatter inglesi e sfido chiunque a non spegnere tutto e dormire per una settimana.
Il giorno successivo è il momento di tornare a Londra. È la settima volta, ma ogni volta è una sorpresa. Mi manca il fiato quando vedo spuntare il London Eye prima di arrivare alla Waterloo Station, mi manca il fiato quando respiro di nuovo gli odori di Londra, quando mi butto nella ressa di Hamleys' sotto le feste... mi manca il fiato quando poi, all'alba, devo salutare Tosca che mi ha fatto compagnia prima della partenza.
Ma cosa significhi Londra non si può riassumere in un concetto, in un leit-motif, in poche parole. Perciò mi limiterò ad auto-citarmi, riproponendo le parole che usai nel lontano 2001, dopo il primo viaggio nella capitale inglese, a 17 anni.

“Dimmi, può esistere il "mal d'Inghilterra" Sì perché ho sempre sentito parlare del "mal d'Africa", ma quello che provo ci assomiglia da morire! E' stata una vacanza-ma prima di tutto un'esperienza di vita- davvero stupenda ed entusiasmante. Da dove comincio? Mah, non so neanch'io.. comincio dagli odori, dai profumi che si respirano in città.. e già qui potrei fermarmi, perché tutto si riassume nell'emozione che quei profumi mi suscitano. Non ho girato per musei, uno solo l'ho visto in parte e mi è bastato, perché avere davanti, gratuitamente e fotografabile, un frontone quasi completo del Partenone e riuscire a non piangere è già un'impresa di per sé. Solo statue, dicono alcuni. Le vibrazioni le sentiamo in pochi. Sono stata sul Tower Bridge, dopo averlo costruito in miniatura in un puzzle tridimensionale, ed era tale e quale, coi suoi colori, i suoi azzurri e la sua forma tutta strana. Sono stata anche a Buckingham Palace, ma lì c'è aria rarefatta di vita interrotta, freddezza reale che non c'entra già quasi niente con quello che c'è fuori. I sorrisi della gente, la vita frenetica, la VITA, in ogni caso. Tra i suonatori di Leicester Square, i parchi immensi, i ristoranti di Chinatown, i sorrisi di chi ti incrocia ma anche la sofferenza dei senzatetto ho sentito solo due cose sopra tutte le altre: vita e rispetto. Non sarai mai troppo strano a Londra, stai sicuro che chi cammina davanti a te per la strada è mille volte più strano di te, per questo sarai accettato comunque. E Londra vive, che tu ci sia o no lei è lì, e questa è una sfida per noi a viverci dentro perché qualcuno se ne accorga. E allora via, una foto a Chelsea perché c'è stato Jon Bon Jovi, una foto al Centre Point e una al London Eye (per la precisione, quello lo becchi ogni volta che fai una foto, da quanto grande è) e torni a casa bagnato fradicio ma felice di esserlo perché lì piove sempre ma ti devi abituare a non accorgertene.”

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