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I racconti, i sogni, le speranze, i pensieri.. di tutto un po', per chi crede che Someday I'll be Saturday Night!

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Upstate Update # 7 - Chi fermerà la pioggia?


Il secondo weekend newyorkese comincia passando davanti al Metlife Stadium dove l'indomani vedrò il Boss dal vivo: vediamo un po' quanto ci si mette in autobus ad arrivare in centro? 10 minuti normalmente, oggi all'ora di punta 2 ore. Bentornata a Manhattan.

C'è di buono che l'ostello è a un passo e mezzo dal terminal e soprattutto dietro Times Square: no, gentili signore impellicciate in fila al botteghino del teatro, non sto cercando di saltare la fila da brava italiana, starei solo cercando di entrare in ostello!!! Mi conforto del ritardo rifugiandomi nel primo ristorante che trovo: casualmente, un Red Lobster... dove prendo per asporto un piatto unico di pesce grigliato (aragosta, gamberi, le famose scallops di Ramsay, riso, purè e insalata) con la classica ciotolina di burro fuso per immergerci il pesce (notoriamente troppo salutare, altrimenti) e le due tortine di pane/patate/pesce da intingere non so bene dove, ma che sono divine. Mi gusto la mia cena seduta in Times Square dove si aggirano decine di pupazzi pronti a fare foto coi turisti, dietro pagamento di un obolo, e pure il cowboy nudo che suona la sua chitarra. Tornata in ostello, tempo di conversare con le compagne di stanza australiane e correggere un po' di compiti d'italiano ed è ora di dormire.

Il sabato mattina finisco di correggere i compiti nel bar dell'ostello mentre faccio colazione per poi avviarmi, munita della mia maglietta Soul Kitchen, al mio giro odierno: casa di Jon a SoHo (nessuna traccia di lui o di chicchessia, e migliaia di km a piedi grazie alla fermata della metro chiusa per lavori), per poi visitare Freehold, la città natale del Boss. Il terminal degli autobus -Port Authority per gli amici- è stato costruito dal cugino cattivo di Dedalo: dopo aver trovato la biglietteria (col bigliettaio che mi vende i biglietti per la sera “ma se dopo il concerto aspetti più di mezz'ora, dormi allo stadio perché autobus non ce ne sono più”... azz, grazie!!) e aver inutilmente cercato di decifrare il numero dell'uscita blaterato dalla bigliettaia non molto incline a ripetere le cose due volte, mi dico “ma sì, la troverò!”... povera illusa. Finisco col trovarmi in strada tra autobus sfreccianti mentre qualche buon'anima mi dice “no, devi scendere e risalire al piano superiore, mica partono da qui quegli autobus adesso!” e per fortuna becco l'autobus giusto prima che parta. L'autobus ferma in posti talmente persi nel nulla che decido di attivare il mio GPS e vedere quando arriva a Freehold: scendo alla fermata e mi avvio verso l'indirizzo dei Vinyard, la coppia che ha accolto e musicalmente cresciuto non solo il Boss ma tutti gli artisti del Jersey Shore Sound. Trovata la casa e raccolte occhiate perplesse dai vicini (della serie “che cazzo vuoi, straniera?”) torno sui miei passi osservando questa cittadina a fortissima densità di immigrati soprattutto messicani, che non ha granché da offrire.
Mentre ritorno mi fermo a fare la spesa in due supermercati locali, raccogliendo ancora più occhiate perplesse: quello che non sanno è che la spesa è per il concerto, dove infatti la Food Bank del New Jersey raccoglierà prodotti non deperibili mettendo in palio in cambio due posti in prima fila per il concerto (uhm... Jon, stai prendendo appunti??). Nel secondo supermercato dalla radio esce “Who says you can't go home” versione duetto, è un segno del destino! Prima di risalire in autobus gusto una quesadilla al ristorante messicano -buonissima a dir poco- e mi avvio all'ostello. Dato che il viaggio è durato un'ora giusta, mi illudo che l'ora di punta nel weekend non sia così di punta... sì come no. Quando salgo sull'autobus per lo stadio, mi metto comoda e infatti ci mettiamo 40 minuti per uscire dal terminal, 10 per arrivare allo stadio.

Arrivata al parcheggio, cerco di memorizzare la posizione per poi ritrovarmi quando uscirò e mi avvio all'entrata: il parcheggio è invaso da gazebo, perché c'è una bellissima tradizione che è quella del “tailgating”. Prima delle partite di football o di eventi come questo, gli spettatori si riuniscono nel parcheggio e fanno una grigliata ascoltando musica alla radio (in questo caso monotematica) e giocando a carte, come fossero in campeggio. Trovo il camioncino della Food Bank e ricevo i biglietti per l'estrazione, poi trovo l'entrata dove la mia borsa viene controllata tasca per tasca alla ricerca di macchine fotografiche o ombrelli, entro e scalo i tre piani fino al mio anello, compro un economicissimo hot dog ($6, tua sorella!!!!) e mi accomodo al mio posto. A parte il capitombolo di un signore leggermente sovrappeso (per non dire ultra obeso), che a momenti si faceva 3 anelli in rotolata, non accade niente di che e soprattutto alle 19.45 (inizio concerto previsto 19.30) non c'è assolutamente nessuno sul prato, e molto pochi sulle gradinate. Ci siamo persi qualcosa? La risposta è presto detta: per paura delle condizioni meteo, il pubblico non è stato fatto entrare, e infatti alle 20 comincia a piovere e appare un messaggio sui megaschermi: “rientrate tutti nello stadio immediatamente, c'è pericolo di fulmini”. Ah però... da quel momento comincia una snervante attesa durante la quale calcolavo già le possibilità di avere il rimborso del biglietto quando avessero cancellato il concerto, come ormai pareva ovvio, e gli orari dell'autobus per tornare indietro. Ma con mia grande sorpresa dopo due ore, nonostante la pioggia fosse perfino aumentata, prima da chi era su Twitter e poi dal boato di chi era affacciato sulle gradinate si è saputo che il pericolo era rientrato e potevamo ri-accomodarci. E se non volessi prendermi la malora?!


Mi ri-accomodo con un po' di disappunto, i vestiti zuppi in men che non si dica per non parlare della borsa, e vedo che stanno facendo entrare la gente sul prato: sì, si comincia per davvero. Alle 22.30 il Boss sale sul palco e scusandosi per il disagio ci dice: “beh, a quanto pare ho appena invitato 55 mila persone alla mia festa di compleanno!” no Bruce, ne hai invitate un 10 mila in più... o forse si sono imbucate?!? La scaletta non saprei dirla, la trovate su internet molto facilmente, soprattutto perché conoscevo FORSE 5 canzoni in tutto, e mimavo le altre seguendo quello che facevano gli altri. Bisogna smentire il mito degli americani che conoscono solo i ritornelli, perché intorno a me tutti sapevano tutte le strofe a memoria, e tanto di cappello a una leggenda del rock che fa uno show del genere in New Jersey con biglietti che (senza menate di fan club o altro) vanno dai $70 ai $120, e chi primo arriva al prato meglio alloggia, con i primi mille che vanno nella zona “diamond” (Jon, appuntiiii!!!!). Fatto sta che il ritardo è presto dimenticato, il coinvolgimento del pubblico è totale, Bruce e la band si divertono come bambini (ripetendo ogni due canzoni “ho già detto che è il mio compleanno?!”) e io mi diverto con loro, cantando con gran presenza di spirito “ashhicn hiohjrij io GLORY DAYS... lgjhiao jrhiuhuch uerhncaanksdi GLORY DAYS...” perché se anche volessi provare a capire cosa canta lui, avrei più possibilità ascoltando i cori del pubblico! Su “Waiting on a Sunny Day” (quale canzone più appropriata, oggi?!?) si ripete una scena ormai rituale in questo tour, con un bambino che dal pubblico sale sul palco per cantare col Boss e lui che si comporta come il nonno buono, adorabile!! Su “10th Avenue Freeze Out” c'è un tributo fotografico a Clarence Clemons, lo storico sassofonista della band, che si conclude con un assolo del nipote Jake tra l'ovazione del pubblico. Quando ormai lo stadio è illuminato a giorno ed è l'una e mezza, escono sul palco la mamma, la suocera, la sorella e il cognato di Bruce con una mega torta a forma di chitarra: lui la taglia e offre le fette al pubblico salvo poi finire i piatti “qualcuno mi porta un cazzo di piatto???” e prima di intonare “Twist & Shout” con la mamma tra le coriste, si premura di infilarle della carta nelle orecchie “perché nessuno vuole assordare sua madre il giorno del compleanno”... ormai sono le 2 del mattino, il concerto si conclude in bellezza con un Bruce scatenato, che si dà al suo pubblico (ad altezza uomo nella zona gold, Jon stai prendendo appunti?!?) nonostante i 63 anni appena compiuti, e hai l'impressione che non scenderebbe mai da quel palco se potesse. Epico a dir poco.



Stanca ma felice, bagnata fino al midollo ma non raffreddata, ritrovo la zona autobus e riesco a rientrare all'ostello alle 3, per svegliarmi alle 7 e fare il checkout. Nonostante il sonno cosmico, riesco a fare la valigia al buio e poi a trovarmi con una mia ex alunna d'italiano per il brunch -pancakes naturalmente!- e a fare un salto all'NBA store, per poi ritrovarmi al solito Port Authority per l'autobus del ritorno dove una passeggera irritata sbraita contro l'autista, innervosendolo non poco: dev'essere questa la causa della guida a dir poco allegra che mi impedisce di chiudere occhio. Distrutta, rientro in quel di Colgate dove ci sono almeno 10° di meno e mi rifugio sotto le coperte... Mela, ci si rivede tra un mese!

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