Quando
la nonna allargava le narici, erano cazzi.
Quando
quel giorno la nonna allargò le narici e spense il gas sotto la
pentola, pensai seriamente di dover fare testamento.
L'unico
elemento che mi tenne in vita, col senno di poi, fu la mia giovane
età e la consapevolezza che, in fondo, mi limitavo a ripetere a
pappagallo quello che sentivo dire dagli adulti (adulti
irresponsabili per altro, che non tenevano in considerazione le
narici della nonna).
Quel
sabato infatti io e la mamma eravamo arrivate appena in tempo, a
ridosso del pranzo, perché il ponte (quello sospeso sulla laguna,
per intenderci) era stato bloccato per ore da una manifestazione di
operai in rivolta. E gli adulti irresponsabili di cui sopra avevano
cominciato ad inveire contro questi operai “che in fondo
danneggiano persone come loro” “che mica ci pensano, che c'è
gente che deve andare a lavorare, su questi autobus” “che insomma
vabè protestare ma i politici mica ti ascoltano” “che tanto se
anche gli aumentano gli stipendi poi aumenta pure il costo della
vita, cosa credono?!”
Quest'ultima
affermazione, diligentemente ripetuta nel mio infantile lamento, era
stata la goccia che aveva fatto traboccare... le narici.
-Non
sapevo di aver cresciuto una comunista di stampo cinese!
Rispose
la nonna, dalle cui narici ero convinta stesse uscendo fumo. E della
quale tenevo d'occhio la mano destra, sia mai che stesse caricando un
ceffone.
-Ma
nonna...
-Ma
niente! Prendi la giacca e la borsa, andiamo fuori.
Non
obiettai, grata dello spiraglio di salvezza che mi veniva concesso.
Una
volta fuori, con lo stomaco che brontolava, ci avviammo verso il
picchetto dei rivoltosi, al piazzale antistante il ponte.
-El
me scusa, capo!
Fece
la nonna a quello che immaginai essere il capo della rivolta, vista
l'espressione usata dalla nonna (non ero ancora stata iniziata ai
misteri del dialetto e all'equivalenza capo=buon uomo).
Operaio
che si girò con faccia non poco stupita, vedendo un'anziana signora
bene e una bambina chiaramente trascinata lì controvoglia.
-Vorrei
che spiegasse a mia nipote le ragioni che vi portano a protestare
oggi, se non Le dispiace.
Continuò,
seppur in dialetto, la nonna.
Apparve
chiaro lo sforzo dell'uomo per trovare le parole -non tanto perché
non le sapesse, ma non le sapeva in italiano, che era la lingua da
usare coi bambini.
-Dunque....
vediamo. Ho una putea della tua età, sai? Lei fa la terza, anche tu?
Annuii,
e lui continuò.
-Ecco.
Il mio padrone vuole chiudere la fabbrica. E non perché non c'è
lavoro, anzi. Ma se apre la stessa fabbrica che so... in India, lui
spende meno, perché lì gli operai non protestano e così prendono
meno soldi. Ma se io prendo meno soldi, come mando la mia putea in
terza, coi libri e tutto il resto? Come compro le scarpe par far
ginnastica? Capisci?
Io
avevo gli occhi sgranati e la bocca aperta, concentrata sulla parte
delle scarpe da ginnastica: non avevo capito tutto, ma immaginavo
papà che non mi comprava le scarpe e i compagni che mi deridevano.
Sì, sarebbe stata una tragedia epica.
Si
avvicinò un altro operaio, per contribuire alla discussione. Era un
uomo di colore.
-Io
invece ho un bambino piccolo, appena nato. Se lo vedi ti innamori,
sai? Ride tutto il tempo.
Disse
con un sorriso sognante e un leggero accento francese.
-Ma
se lavoro più ore come vuole il mio capo, non ho la forza per
prendere mio figlio in braccio. La notte chi aiuta mia moglie quando
lui si sveglia, se io lavoro?! Se non torno mai a casa, mio figlio
non sa chi è il suo papà, giusto?
E
anche qui, immaginai mio papà che non tornava più a casa -già
tornava poco- e non ci chiedeva com'era andata a scuola, la sera a
cena tutti insieme.
La
nonna si ritenne soddisfatta dell'incontro, ringraziò con un
“Grassie, maestro” il signore (sfuggendomi l'equivalenza
maestro=capo=buon uomo, rimasi perplessa pensando che l'operaio
avesse un secondo lavoro da insegnante) e prendendomi per mano mi
trascinò a casa senza proferire parola.
Tornate
a casa, accese il gas e buttò la pasta, poi cominciò.
-Hai
capito la lezione di oggi?
Poco
convinta dal mio timido annuire, me la ribadì.
-Quei
signori ti hanno provocato un disagio, d'accordo. Hanno fatto perdere
tempo a te e a molte altre persone, che magari hanno perso una
giornata di lavoro... sai che guaio!!
Aggiunse
con ironia.
-Quei
signori stanno perdendo non una giornata di lavoro, ma IL lavoro.
Oppure -ancora peggio- stanno perdendo qualcosa di molto più
importante: la dignità, il tempo con la loro famiglia, la speranza
nel futuro dei loro figli. E allora, vita mia, impara il valore della
solidarietà. Non in senso generico, bada bene. Non voglio
trasformarti in un'attivista per tutte le cause del mondo. Non ti
dirò “mangia le verdure che i bambini del Biafra muoiono di
fame”... come fa la mamma, scommetto...
Sorrisi,
aveva colto nel segno come sempre.
-Ma
io parlo della solidarietà almeno per quelli che conosci, le
situazioni che vedi, il dolore che condividi con le persone che
incontri. Perché ti parlo per esperienza, io che di dolore ne ho
visto tanto. Ho visto le deportazioni, ho visto il fascismo e
conosciuto il comunismo, e benedico, se non altro, la possibilità
che hanno oggi questi signori di bloccare un ponte. E benedico la
possibilità che abbiamo noi, vita mia, di ascoltare le loro ragioni,
anche se non possiamo fare nulla, perché il loro sforzo non sia
stato del tutto vano. E se potessimo fare qualcosa di piccolo, vita
mia, ben venga. Se fosse inverno porterei loro del caffè caldo, per
esempio. Essere più fortunati di altri non ci dà diritto al
disprezzo e all'indifferenza, ricordalo sempre vita mia, d'accordo?
-D'accordo,
nonna. Ho capito.
Dissi,
annuendo convinta.
-E
adesso metti il tovagliolo, che la pasta è pronta.
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