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I racconti, i sogni, le speranze, i pensieri.. di tutto un po', per chi crede che Someday I'll be Saturday Night!

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(Racconto) Vietato fumare

Tutte le volte che partivo o che tornavo, mi accoglieva la scritta “vietato fumare”. Era scritta a caratteri cubitali sugli edifici circostanti la stazione, e da allora era diventata il simbolo di ogni viaggio. Adesso che tornavo in quella che a suo tempo chiamavo casa, la scritta era scomparsa.. d’altra parte il divieto di fumare era diventato legge, non c’era più bisogno di scriverlo dovunque. La stazione però era la stessa, col suo grigiume, la sua puzza e tutte quelle facce che qui sono “così poco raccomandabili” e dove adesso era la mia casa sono solo facce, né più né meno. Rimettevo piede in Italia per un breve week-end, al limite della mia soglia di resistenza alle premure di mia madre, solo per un’occasione speciale: i diec’anni dal diploma, a vedere quanto si è invecchiati e che fine ha fatto Tizio che non sta più con Caia. I luoghi che conoscevo sono cambiati, ma non più di tanto. Le strade hanno ancora i buchi sull’asfalto, la gente e le case si stanno ancora chiedendo se siamo paese, periferia o provincia. L’aria sa di smog. L’appuntamento col passato però è “in città”, che è scomoda per tutti così almeno c’è la par condicio. Il buontempone della classe è quello che ha organizzato tutto, prenotando una pizzeria fronte laguna che almeno c’abbiamo il paesaggio a consolarci. La “città” sa di salso, di umido e di fogna.. solito insomma, ma di sera si sente più il salso e allora si sta meglio e pensi quasi di essere in vacanza. Ed eccoci qua, venti adulti che non sanno che farsene di questo incontro, se non sparlarne il giorno dopo con l’unico amico del cuore che è rimasto da quegli anni. C’è il copione, quello che non studiava mai ma bisognava passargli la versione ma-in-fondo-non-è-giusto-perché-è-lavoro-mio-e-tu-te-ne-approfitti, c’è la sicura di sé che maledetta-la-prof-d’inglese-m’ha-rovinato-le-superiori-ma-mi-sono-laureata-lo-stesso, c’è la fighetta che vivo-in-un-loft-con-vista-sul-London-Eye.. e grazie, basta che vivi a Londra e il London Eye lo vedi per forza, tanto grande che è. «Io invece vivo a Losanna in un attico con vista sul lago». È una battuta –per forza che vedi il lago, lo vedi da qualunque casa di Losanna- ma la capisce solo lui. E già. Per forza. Lui l’ha visto, “l’attico”. Lui doveva venirci a vivere con me, nell’attico. Non che dovesse, ma era nei progetti. Nei miei, quanto meno. Prima che nei suoi ci fosse la frase “se mi ami resta qua”. «Come stai?» E da dove comincio? Sto come sto. Come una che va in cerca di qualcosa che forse non esiste, che incolpa gli altri di una felicità che non sa trovare in quello che c’è già, e che è tanto. «Bene, e tu?» Stai come uno che negli occhi è pieno di malinconia e di rimpianto, fattelo dire. Ma sarà una mia impressione. «Non c’è male, sai com’è.. il solito insomma.» Già, il solito che una volta condividevamo giorno e notte e mi pareva così tanto. Il solito che poi è diventato solo il solito. È proprio vero che svanisce la magia. È un po’ ingrassato, incanutito, normalizzato. Non è più l’uomo che avrei voluto sposare, non mi ricordo cosa ci trovavo di speciale. Tranne l’amore che provava per me. «Il lavoro come va, ti trovi bene in Svizzera?» A parte i due mesi di solitudine passati a piangere, intendi? E il resto del tempo a leccarmi le ferite, e a scoprire di essere più forte da sola? E i patetici tentativi di risentirci ancora? Come se davvero potesse rimanere un’amicizia, dopo tutto? «Mi è dispiaciuto che non ti sei più fatta sentire» «Invece è stato meglio così» «Sì forse hai ragione tu» Mai una volta che tiri fuori le palle, neanche a distanza di anni, no? Non so cosa sto cercando, ma di certo niente che possa trovare qui, stasera. Non nei suoi occhi, non in venti facce che non hanno più nessun ruolo nella mia vita. E la pizza è meglio a Losanna, tra l’altro. Ci alziamo, facciamo un giro in riva, ci salutiamo. «Beh, allora stammi bene. Magari un giorno o l’altro ci sentiamo.» Come no. Contaci. Mi allontano, respiro forte l’aria di quella che era la mia casa e pensavo fosse tutto il mio mondo. C’è stato un momento in cui ho pensato di potermi fermare. Poi ho capito che forse era chi voleva amarmi che doveva seguirmi, o aspettarmi, come il compasso di John Donne. Per il ritorno salgo in aereo, così fuggo prima. Prendo posto, allaccio la cintura, guardo la laguna che si allontana, salgo sopra le nuvole e mi faccio accecare dal sole. Bip. Si è illuminato un segnale. È una sigaretta con una croce rossa sopra. Vietato fumare. Bentornata a casa.

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