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I racconti, i sogni, le speranze, i pensieri.. di tutto un po', per chi crede che Someday I'll be Saturday Night!

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DdV 6 - Primi giorni in Canada (no Mac, no party)

Parto da Philadelphia guardando incuriosita il lustrascarpe in aeroporto, e spiando che diavolo starà facendo di tanto importante il mio vicino, incollato al blackberry. L'arrivo a Toronto è molto rincuorante: in meno di mezz'ora sono già in taxi, col visto in tasca... altro che States! Noto subito il verde che abbonda, le strade residenziali che sfociano nelle grandi arterie commerciali, e so che difficilmente sbaglierò nel rientrare a casa: il cartello "REMOVE YOUR SHOES" è visibile da chilometri di distanza. Apprendo subito le numerose regole di MM, la mia padrona di casa: via le scarpe, chiudere a chiave la porta quando si esce, cena alle 18.30 con cibi di tutti i colori, niente asciugamani sul letto e niente elettricità prima delle 9 della sera! Gulp. L'accompagno a fare la spesa, e noto l'ironia canadese -un po' british- sui finestrini del bus: "Spostarsi verso il retro dell'autobus, grazie" recita il primo, e il secondo "beh, magari UN PO' PIU' indietro, GRAZIE!". Scopro inoltre che non esistono i pulsanti, per prenotare la fermata: bisogna tirare un cordino di gomma che sembra un filo elettrico, e corre lungo tutte le pareti del bus. In autobus e al supermercato non sento parlare inglese, tranne che da MM: sento russo, francese, italiano (dialetti più che altro), portoghese, spagnolo... salvo poi passare all'inglese per rivolgersi agli sconosciuti. E' un primo assaggio del melting pot che il Canada è riuscito a creare nel tempo.
Al terzo giorno in Canada, nemmeno il tempo di abituarmi alla quantità di aglio e paprika nelle pietanze di MM, il mio Mac si arrende al cambio di voltaggio e muore. Lo porto al Maccospedale, ovvero l'Apple Store, dove i commessi comunicano tra loro attraverso i Macbook, e la cassa si apre con un Iphone. Mackie viene ricoverato, e io mi ritrovo completamente spiazzata. Non potendo comunicare attraverso il computer, mi piomba addosso tutto lo shock che non ho vissuto finora, il distacco da casa e dai miei cari. Allo stesso tempo però, mi sento in sintonia con Toronto, sento ancora che niente può andare storto e che tutto accade per una ragione. Comincio il mio pellegrinaggio alla ricerca di un lavoro, dalla Dante Alighieri (spiacenti, ma sa...), alla gelateria Novecento in Corso Italia, agli annunci online per lezioni d'italiano, a chi più ne ha più ne metta. Le istituzioni italiane sono a dir poco disinteressate al destino dei connazionali in vacanza-lavoro, e sì che invece dovrebbero essere loro a promuoverci! Mah. La sera mi consolo con una passeggiata sul lungolago. In autobus c'è un gruppo di ragazzacci, che qui vuol dire "ragazzi che mettono i piedi sopra i sedili dell'autobus" salvo poi spostarsi, scusandosi, quando accenno a volermi sedere... proprio dei teppisti!!! Tra l'altro, sono in sei e di sei razze diverse: asiatici, est-europei, nordafricani, sudamericani, afroamericani... di nuovo, il melting pot made in Canada. Lo spettacolo del lago di sera è incredibile: l'aria fresca, la temperatura ideale, i parchi e la CN Tower sullo sfondo. Oltre a me ci sono ragazze che fanno jogging, persone che passeggiano, il tutto ai margini di quelle che non sono strade, ma autostrade coi marciapiedi ai lati.
Ho sempre amato le città sul lago, e Toronto non fa eccezione. Qui ci si sente al sicuro, non ci si può perdere (perché se non altro, la CN Tower fa da punto di riferimento) e la rete di trasporti è talmente efficiente, puntuale e sicura da sbalordirsi a sentire chi si lamenta -come MM, per dirne una- di dover aspettare 5 minuti per un autobus! Mi appresto a fare amicizia con questa città, e mi preparo ad esplorarla in lungo e in largo.

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